La vita del paesaggio
Tecnica, progettazione, storia, società e cultura nelle trasformazioni del paesaggio
1. I paesaggi contemporanei e i modelli culturali: tecnica e genesi del paesaggio
1.1.1 Il paesaggio come mito, come immaginario collettivo e come teatro
Il paesaggio europeo, essendosi nutrito della poetica del sublime, inaugurata da Kant nella Critica del Giudizio (Kant, 1790) ed avendo affondato le proprie radici nell'estetica romantica ottocentesca, viene contemplato spesso con un'aura addirittura di mito. I luoghi in cui la ricerca interiore porta lo sguardo ad introiettarsi e caricarsi di soggettività, come il Soratte di Orazio, i lidi di Enea, la latina Tellus, la “valle incantata” di Musil o le atmosfere leopardiane, costituiscono allo stesso tempo topoi fisici e topoi letterari, sospesi tra storia e sogno. Chi attraversa questi spazi li percepisce soprattutto come paesaggi dell'anima, in cui la visione si confonde con i ricordi di celebri raffigurazioni pittoriche che ne sono state fatte e di narrazioni auliche.
Ma vi sono alcuni territori che hanno generato nel tempo un immaginario condiviso, grazie all'intreccio fertile tra relazioni funzionali, produttive, simboliche, rappresentative, come ad esempio il Chiantishire o il lago di Como. Si tratta di paesaggi di impronta culturale in cui la presenza antropica ha modificato con pazienza il territorio sia a fini economico-produttivi, sia intellettuali o spirituali, generando un'indissolubile appartenenza all’identità del territorio. Ed è qui che si svela maggiormente il carattere polisemico del “paesaggio”, nella sua accezione estetico - percettiva ed in quella ecologica. La figura dell'uomo che incessantemente scrive l'incunabolo del territorio suggerisce la metafora del paesaggio come teatro (Turri 2001), dove siamo tutti spettatori, ma anche attori responsabili di quanto avviene sulla scena. Il paesaggio, immenso patrimonio di segni che nella continuità della storia costituisce le nostre radici, esiste allora se esiste l'azione creatrice e consapevole dello sguardo dello spettatore. Il teatro (alias paesaggio), con le sue categorie di tempo e spazio, diviene un fenomeno autopoietico grazie al quale l'osservatore viene costantemente educato.
1.2 Il paesaggio come oggetto multidisciplinare e come sistema complesso
Lo studio del paesaggio non appartiene ad una sola disciplina; al contrario, sono molto numerose le ottiche scientifiche che hanno affrontato questo tema, ognuna secondo la propria specificità. Negli anni più recenti si sta assistendo al tentativo di far cooperare i diversi principi disciplinari perché il paesaggio venga studiato e gestito come un unico sistema complesso, e quindi organizzato in un numero estremamente elevato di componenti e di relazioni interne ed esterne al sistema stesso.
Dunque, il paesaggio non è un concetto soggettivo e definito esclusivamente dai suoi valori estetici ma, nel senso che gli attribuiscono gli studi tedeschi e quelli anglosassoni, si differenzia essenzialmente dal concetto di ambiente, che viene definito sempre in senso soggettivo. Infatti, l’ambiente viene riferito ad un soggetto singolo - quale ad esempio un animale, un albero, un uomo, ecc.- o collettivo, e cioè una comunità di questi elementi o di elementi singoli di altro genere. Pertanto, “il paesaggio è l’insieme eterogeneo degli elementi, dei processi e delle relazioni che costituiscono l’ecosfera, considerato nella sua natura di entità:
- unitaria e differenziata, che ne fa un complesso unico, compiuto e articolato;
- ecologico – sistemica, che lo definisce come un aggregato superiore di ecosistemi, o sistema di ecosistemi, naturali ed antropici;
- dinamica, che lo identifica con un processo evolutivo, nel quale si integrano le attività spontanee e quelle derivanti dall’azione della collettività umana, nella loro dimensione storica, materiale e culturale.
Allora, posto un paesaggio P ed un soggetto S (vegetale, animale, umano, singolo o collettivo) in esso contenuto, si definisce ambiente relativo ad S l’insieme degli elementi di P con i quali S intrattiene una qualsiasi relazione (le relazioni possono essere fisiche, chimiche, biologiche, psicologiche, sociali, percettive, culturali, ecc.). Ne deriva che la scienza ambientale studia le relazioni intercorrenti fra un soggetto prefissato e gli elementi del paesaggio che, nel loro complesso, ne definiscono l’ambiente stesso, in quanto legati al soggetto da determinate relazioni” (Romani 1994; 2008).
1.3 Il paesaggio come patrimonio collettivo
Il sistema complesso del paesaggio comprende per definizione anche l’uomo e tutte le sue espressioni culturali, da quelle immateriali a quelle materiali, quali appunto la costruzione di manufatti e la trasformazione del paesaggio, soprattutto attraverso l’agricoltura. In questo senso, il soggetto umano deve essere interpretato come un soggetto collettivo, il quale determina il paesaggio e a sua volta ne viene influenzato, in un rapporto dinamico, continuo e reciproco. Ma, come qualsiasi altro tipo di rapporto, anche questo deve essere fondato su alcune regole, poste ed osservate da entrambe le parti. Da parte sua, il paesaggio, come si vedrà successivamente, segue delle sue regole ed ha sempre dimostrato di rispettarle e di richiederne all’uomo il rispetto; l’uomo non sempre lo ha fatto, pur essendosi dato numerose regole in questo campo. Infatti, oltre alle leggi nazionali e regionali, esiste un ricco patrimonio europeo, costruito dall’attività di diverse istituzioni, di accordi formali e informali, di convenzioni, di protocolli d’intesa e di documenti che i diversi Paesi si impegnano a rispettare: tra questi, l’Unesco, il Consiglio d’Europa e diverse commissioni di lavoro internazionali. I prodotti di quest’impegno comune sono essenzialmente di due tipi, fortemente connessi tra loro: i documenti europei per i beni culturali e architettonici e i documenti europei per il territorio e per il paesaggio.
Risale al 1954 la Convenzione dell’Aja, che appartiene al primo gruppo e che viene stilata sulla scorta delle devastazioni della seconda guerra mondiale; la Convenzione riguarda appunto la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato. Ad essa fanno seguito altre convenzioni, quali quella per la protezione del patrimonio archeologico (Consiglio d’Europa 1969, Londra, 1969), le due di Parigi che dettano rispettivamente: la prima (UNESCO 1970) le misure da prendere per vietare ed impedire l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà illecite di beni culturali, e la seconda le norme per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale (UNESCO 1972). Infine, si ricorda la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio architettonico di Granata (UNESCO 1985), tuttora di grande rilevanza culturale.
L’atto più incisivo degli ultimi anni è stata la firma della Convenzione europea del paesaggio (CEP), avvenuta a Firenze nel 2000 (Consiglio d’Europa 2000), che appartiene al secondo gruppo dei documenti citati, ma molti sono stati i passi che, direttamente o indirettamente, hanno preparato questa svolta nella concezione unitaria e nella pratica della gestione concordata del paesaggio europeo. Partendo dalla Carta di Atene del 1931 (IV CIAM 1943), e passando attraverso un arco temporale di circa sei decenni che ha visto una prima commissione di studiosi esprimersi nel 1970 a Stoccolma con una “Carta”, appunto detta di Stoccolma, e poi una seconda, presieduta da Gro Harlem Brundtland [World Commission on Environment and Development (WCED) 1983], che nel 1987 che ha introdotto su vasta scala il concetto di sostenibilità delle azioni umane, si giunge al 1999, quando il Consiglio informale dei ministri per il territorio a Potsdam ha prodotto il documento intitolato “Schema di sviluppo sostenibile europeo” (SSSE) (Consiglio informale dei Ministri responsabili della gestione del territorio 1999). Molto importante per la proposta di applicare il concetto di sviluppo sostenibile alle tre dimensioni del paesaggio, quella economica, quella ecologica e quella sociale, e per le ripercussioni che ne derivano sull’assetto del territorio, questo documento interpreta molto correttamente le esigenze di tutela e di sviluppo comuni ormai a tutti i Paesi dell’Europa, sia per quanto riguarda i problemi delle aree metropolitane, sia per quanto riguarda le aree rurali e quelle naturali.
L’idea dell’equilibrio da raggiungere attraverso la ricerca di una sostenibilità multidimensionale è solo ipotetica, ma spinge a porsi degli obbiettivi concreti di azione, complessi e condivisi dalle diverse componenti che operano sul territorio. Quest’idea della gestione complessa del paesaggio, ancora oggi non superata da altre dello stesso peso, si ritrova, insieme ad ulteriori linee fortemente innovative, anche alla base della CEP del 2000. Infatti, fino a pochissimi anni fa, si erano consolidate essenzialmente due diverse impostazioni scientifiche, ritenute per lungo tempo opposte ed inconciliabili, a cui facevano capo, da una parte e dall’altra, numerose tendenze interpretative, come si vedrà al punto 2.1.
Negli anni più recenti, i principi unificanti della CEP hanno circolato sempre più rapidamente, improntando altri documenti che si sono succeduti nei diversi settori che convergono nella gestione del patrimonio collettivo del paesaggio. Ad esempio, per quanto riguarda il paesaggio urbano, il Consiglio Europeo degli Urbanisti stila nel 2003 la Nuova Carta di Atene (Consiglio europeo degli urbanisti 2004), la quale, accanto alla visione transdisciplinare della città, sostiene con forza che la pianificazione e i programmi di sviluppo siano coerenti con risorse locali e tendenze globali, mentre sul piano sociale propone strategie trasparenti e condivise, che comportano a loro volta precisi doveri e potenzialità della professione dell’urbanista. E anche se con un carattere differente e ancora non ratificato da tutti i Paesi membri, si ispira per alcuni versi a questi stessi principi il Trattato di Lisbona del 2007, reso necessario dall’allargamento della UE a 27 Paesi (UE 2007); mentre rafforza molti aspetti democratici, esso dà anche alcune indicazioni sulla gestione dei cambiamenti climatici e sulla sicurezza in materia di produzione di energia.
Seppur sotto un profilo diverso e sviluppati in un’ottica molto complessa, tuttavia gli stessi principi di gestione multidimensionale e transdisciplinare del paesaggio sono costantemente presenti anche nell’impostazione del Piano di sviluppo rurale (PSR) 2014 - 2020 della UE. Dunque, si assiste ad una continua evoluzione del ruolo fondamentale che la concezione multidimensionale del paesaggio sta assumendo sotto il profilo ecologico, come principio dell’organizzazione fisica del paesaggio, sotto quello economico della produzione agricola e sotto quello dell’espressione della società, poiché in questo senso la governance deve essere preparata ad un’azione multidimensionale, per gestire correttamente le tendenze positive e sostenerle, correggendo eventualmente quelle che si possono evolvere in senso negativo.
In particolare in Italia, dove la CEP è stata ratificata nel 2004, il Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 26 marzo 2008 n.63), anche se per sua natura segue un’ottica rivolta principalmente alla tutela dei singoli beni, rappresenta un passo fondamentale verso il riconoscimento del paesaggio come patrimonio collettivo anche sotto il profilo degli eventuali reati contro il suo stato di conservazione. Infine, si ricorda la recente Dichiarazione di Firenze sul paesaggio (UNESCO 2012), che richiama l’attenzione dei governi sulla gestione internazionale del paesaggio, e che richiedeva, tra l’altro, “la realizzazione di un Forum internazionale nel 2013 per la salvaguardia dei paesaggi come strumento di sviluppo sostenibile, allo scopo di avanzare proposte per la riflessione sull'Agenda Internazionale per lo Sviluppo post-2015 e l’avvio del processo di creazione di rilevanti meccanismi internazionali”.
1.4 Il paesaggio della Convenzione Europea del paesaggio e le sue reti applicative
“Paesaggio’ designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”: questa è la definizione della CEP (art.1.a).
Sulla base della consapevolezza che il Cultural Heritage ha un significato profondo per la coscienza dell’identità europea, nel 2000 si è giunti alla firma della Convenzione europea del paesaggio. Essa rappresenta il più recente ed innovativo tentativo di promuovere - ai fini gestionali - una visione del paesaggio quale sistema complesso, costituito sia da componenti naturali sia da componenti antropiche tra loro in continua interazione, la cui identità ed evoluzione dipende fortemente dal ruolo svolto dalle comunità locali, dal loro coinvolgimento e dalla loro partecipazione al processo gestionale. Dunque, le diversità storiche e culturali dell’Europa, pur salvaguardando la propria identità, sono incoraggiate a organizzarsi in un contesto coordinato che dovrebbe superare l’attuale frammentazione.
La Convenzione non fa distinzione fra paesaggi naturali e paesaggi culturali, né fra paesaggi di eccezionale pregio e paesaggi ordinari o quotidiani, anche degradati, la cui importanza deve essere trattata alla stessa stregua dei paesaggi scenicamente rilevanti. In particolare, dal corpo del trattato emerge chiaramente come il “carattere” di un paesaggio sia espressione unica dell’identità di un territorio, condivisa dalla popolazione che lo abita. E` evidente che l’ottica è molto ampia, sottintende una stretta collaborazione tra le diverse istanze scientifiche, e richiede la più ampia partecipazione delle popolazioni alle trasformazioni del “proprio” paesaggio. E questo fondamento è continuamente presente, sia nei punti in cui viene ribadito apertamente, sia in quelli in cui resta come sfondo.
L'introduzione dell’idea della percezione del “proprio” territorio da parte delle popolazioni apre la strada allo studio della componente storica, sociale, percettiva, filosofica, artistica, ma anche architettonica del paesaggio. Tra le conseguenze innovative più significative si possono annoverare:
- le conseguenze politiche: il paesaggio inteso come patrimonio collettivo che non deve essere “subito” dalle popolazioni (II, 23) ;
- le conseguenze pianificative: l’applicazione della CEP a tutto il paesaggio, straordinario o ordinario, senza distinzione (art. 2, 45);
- le conseguenze sociali: l'avvio di processi di partecipazione popolare alle trasformazioni del territorio;
- le conseguenze formative ed educative (art. 6, § B).
Per l'applicazione della CEP sono state previste tre reti europee che mettono in collegamento tra loro le diverse istituzioni pubbliche e private. UNISCAPE riunisce gli atenei che aderiscono ai principi generali della CEP – anche se appartengono ad un Paese che non aderisce alla CEP, come ad esempio la Germania; RECEP-ENELC le istituzioni pubbliche; CIVILSCAPE il terzo settore.
L'originalità dell'interpretazione del paesaggio data dalla CEP - di considerare i paesaggi ordinari, quelli eccezionali o quelli degradati sullo stesso piano - spinge alla riflessione sugli strumenti metodologici e quelli amministrativi più validi per gestire i paesaggi europei attuali, in particolare quelli periurbani, nei quali si rivela esplicitamente la complessa interconnessione tra i paesaggi rurali e quelli urbani (art. 2, 45). Proprio questo aspetto che stimola tutte le discipline a lavorare insieme per trovare delle risposte architettoniche, urbanistiche, paesaggistiche, sociali, economiche. Dunque, il salto culturale rappresentato dalla CEP si gioca su diversi fronti; innanzi tutto la novità di un documento dedicato al paesaggio, in secondo luogo la nuova definizione che ne viene data ribalta il punto di vista precedente, superando la visione che isolava i paesaggi di pregio dal resto del territorio e che di fatto considerava il fattore dell’eccellenza estetica come unico parametro per la definizione di paesaggio.
2. La gestione del paesaggio (tecnica e società)
2.1 La genesi del paesaggio contemporaneo
“Se già in epoca romana venivano definiti alcuni luoghi come “ameni”, è solo in epoca romantica che si costituisce l’idea di un “patrimonio paesaggistico”. Con quest’idea venivano designati i luoghi considerati collettivamente come depositari di una bellezza quasi intrinseca. Però il concetto di patrimonio paesaggistico è legato a quello di storia che ha caratterizzato un certo sito fino al momento attuale. Per questo alcuni siti, prima non considerati “patrimonio paesaggistico”, sono stati progressivamente riconosciuti come facenti parte di questa categoria (Choay 1998).
Tutti i Paesi si sono evoluti nel tempo e con loro i valori paesaggistici: di conseguenza non solo si modificano i paesaggi, ma anche la considerazione che si ha di essi. Questo fatto evidenzia come non sia corretto avere sul paesaggio uno sguardo esclusivamente legato al termine “patrimonio”, dato il carattere statico di quest’ultimo. Nella società contemporanea, se da un lato c’è la tendenza alla patrimonializzazione totale, con un congelamento dello spazio in nome della storia e del mercato del turismo, dall’altro si è formato un aspetto economico molto importante, per cui la tendenza alla conservazione è legata prevalentemente al numero di turisti che vengono in visita.
Ma occorre tenere in conto i fattori del cambiamento e della trasformazione che sono tipici del paesaggio. In realtà, il paesaggio ha anche una dimensione politica, ed è un indicatore importante dello stato di un paese dal punto di vista dei rapporti sociali; quindi è necessaria una scelta di carattere politico per la gestione del paesaggio stesso. Così, dalla seconda metà del XX secolo le trasformazioni del territorio si susseguono in modo sempre più accelerato, dando luogo allo sviluppo dei centri abitati che si espandono a macchia d'olio, alla nascita dell’urbanizzazione sparsa, alla frammentazione insediativa della periferia. Tali fenomeni sono imputabili ad un cambiamento radicale sia nel modo di produrre - dal fordismo al post-fordismo - che negli stessi modi d'uso del territorio, che corrispondono a mutamenti sociali profondi (cfr. il ricorso sempre più ampio alla mobilità privata, l'ampliarsi dello spazio del loisir). Dunque, dall’epoca della prima industrializzazione in poi, si assiste ad una progressiva concentrazione di interessi di vario genere sul suolo urbano, che diventa immediatamente il collettore di affari privati e pubblici, di azioni finanziarie, di intrecci politici e immobiliari, quindi di operazioni speculative di vario genere. Questa congerie di interessi sottrae continuamente lo spazio – in senso fisico e in senso figurato - alla sperimentazione progettuale e agli interventi di buona qualità architettonica e urbanistica, nonché all’organizzazione corretta degli spazi aperti urbani e rurali.
Infatti, da questo momento la città si diffonde in maniera quasi tentacolare in territori precedentemente rurali, perdendo progressivamente la sua forma urbis a favore di una dilagante incoerenza. I paesaggi della contemporaneità diventano i famosi “non-luoghi” di Augé (Augé 1992): i non-luoghi dei centri commerciali, delle multisale, degli svincoli autostradali, dei grandi contenitori di funzioni commerciali o ricreative. Si perde il modello di organizzazione del territorio basato sulla dislocazione di vaste aree specializzate a favore della mixité urbana. Anche il paesaggio agrario risente delle trasformazioni in atto: il processo di meccanizzazione conduce alla perdita dei caratteri fisiografici, fisiognomici ed identitari. Di conseguenza, si viene a creare una nuova geografia, che è quella della città diffusa, costituita da cinture urbane continue, centri minori variamente specializzati, fasce periurbane a minore densità abitativa che si insinuano negli spazi interstiziali. Il passaggio dalla grande industria alla piccola e media impresa, determinato dalla ristrutturazione del sistema economico, propone l’immagine policentrica della rete quale nuova tessitura territoriale ed immateriale.
Ormai da alcuni decenni i tradizionali paesaggi europei, in particolare quelli rurali, stanno cambiando profondamente sotto la spinta della globalizzazione economica, dello sprawl urbano e dell’ampliamento delle reti della mobilità (Sassen 2000; Antrop 2006). Inoltre l’applicazione delle più recenti normative di Politica Agricola Comunitaria (PAC) sta cambiando i modelli di gestione del suolo adottati dagli agricoltori, con l’abbandono dei terreni marginali e la crescente standardizzazione dei sistemi colturali nelle aree ad agricoltura intensiva (Vos 2000; Antrop 2006). Le dinamiche in atto stanno generando nuovi paesaggi, che esprimono, o sottintendono, nuovi caratteri e nuove qualità spesso estranei alla storia ed alle potenzialità locali (Arnesen 1998; Pedroli 2007). Pertanto, le classiche categorie tipologiche utilizzate sia per definire dal punto di vista semantico il paesaggio, sia per classificarlo in urbano, agricolo, rurale e naturale, risultano oggi inadeguate per descrivere la complessità di questi nuovi paesaggi. Sono paesaggi diventati sempre più caotici dal punto di vista dei pattern spaziali ed utilizzati in modo sempre più casuale, dando luogo al modello detto “a mosaico”.
In particolare, ciò avviene nelle aree più prossime ai centri urbani, dove si formano mescolanze e frammentazioni di caratteri urbani e di caratteri rurali, e nelle aree metropolitane dove l’occupazione dello spazio da parte delle strutture artificiali è imponente, lasciando le superfici agricole residuali sparse, isolate, marginalizzate in attesa di nuovi usi più remunerativi (Bogaert et al. 2005; Antrop 2004). Inoltre, a tale dinamica perversa si aggiunge l’azione delle grandi infrastrutture della mobilità, che ha contribuito in modo determinante alla formazione di questi modelli derivati. All’interno di questi pattern spaziali misti si innesta un duplice meccanismo: da una parte aumentano le relazioni tra le diverse componenti, e dall’altra si amplia la domanda sociale in relazione alle funzioni che essi dovrebbero svolgere: produrre, abitare, spostarsi, conservare la naturalità, essere luogo per il turismo e le attività ricreative, conservare una propria identità, ecc.. Di conseguenza, mentre appare sempre più difficile definire in modo univoco i nuovi paesaggi contemporanei, si osserva che i conflitti fra i diversi gruppi sociali locali tendono ad acuirsi.
2.2 Due scuole differenti di pensiero e la frammentazione del paesaggio
Al punto 1.2 è stato illustrato un concetto di paesaggio che può essere definito “ecologico”. Esso si basa essenzialmente sui principi dell’ecologia del paesaggio e vede nel paesaggio stesso un’entità complessa in cui tutti gli elementi intrattengono delle relazioni sia tra di loro, sia con l’entità nel suo insieme. Ma vi è un altro concetto di paesaggio fondato su una diversa interpretazione metodologica. In questo caso il paesaggio viene interpretato attraverso la capacità dell’osservatore di riflettere sulle forme del paesaggio stesso, e di riconnetterle alle proprie categorie mentali, siano esse filosofiche, artistiche, religiose, poetiche o di altro genere. Il campo di studi in cui converge questo complesso di discipline è quello dell’estetica. Dunque si può affermare che, mentre l’impostazione “ecologica”, tende ad osservare il paesaggio misurandone gli elementi ed i loro molteplici rapporti secondo i principi delle scienze esatte, l’impostazione scientifica di carattere “umanistico” si occupa della percezione, dell’interpretazione, della rappresentazione e dell’interrelazione dell’uomo con paesaggio – non tralasciando aspetti quali il sentimento, i desideri, le paure, i progetti del presente o del passato dell’uomo.
Questi due concetti possono talvolta divergere. Così, se le scienze esatte intendono presentarsi come un sapere oggettivo, allora la contaminazione emotiva viene da esse considerata un’imperfezione metodologica; per questo intendono escluderla dall’ambito proprio di un’analisi scientifica del paesaggio. La moderna geografia ha in effetti faticato per liberarsi da quel “paesaggio estetico” tipico della passionalità romantica. La drastica separazione tra le due scuole di pensiero, che per anni ha accompagnato lo studio e la ricerca sul paesaggio, è stata spesso considerata come una vera e propria dicotomia. In tal modo aspetti come la bellezza, l’armonia, il gioco di colori, elementi, simboli e percezioni, vengono spesso considerati dalle scienze naturali, come “non scientifici”, perché non misurabili. Questa dicotomia tra “paesaggio geografico” e “paesaggio estetico” è il segno di una frattura che si è prodotta nella sensibilità dell’uomo contemporaneo e nel suo modo di “ascoltare” il paesaggio. La geografia rappresenta il territorio e l’ambiente della cultura secolarizzata della modernità, ma il paesaggio è anche altro: è il rapporto tra la vita di un soggetto ed i luoghi di questa sua vita. Dal racconto della propria vita non può essere cancellato il paesaggio della propria esistenza, che restituisce narrazioni e ricordi attraverso sensazioni emotive.
La scomposizione estrema del sapere, quasi una sua frammentazione, si riflette direttamente sull’assetto delle strutture fisiche del paesaggio, come si può rilevare facilmente attraverso un’osservazione attenta. Infatti, come è sempre avvenuto, i modelli culturali dominanti hanno impresso, in modo piuttosto diretto, all’assetto del paesaggio fisico le regole di trasformazione che erano loro più congeniali. Così, ad esempio, mentre i rigidi criteri militari di spartizione dell’antica Roma hanno guidato l’organizzazione del noto modello di assetto del territorio “centuriato”, l’assolutismo barocco ha prodotto il modello basato sulla centralità dello spazio, e così via, secondo una corrispondenza geometrica a volte diretta e immediata.
2.3 I modelli della contemporaneità: modelli culturali, modelli di paesaggio
Il modello culturale attualmente dominante si ispira da una parte all’appiattimento dei criteri di scelta dettati da quella tendenza verso la globalizzazione che contrasta fortemente la caratterizzazione e l’identità dei luoghi, mentre dall’altra è improntato ad una chiarissima tendenza alla frammentazione ed alla dispersione, soprattutto nel contesto urbano. Quindi, la sua espressione che si materializza nel paesaggio non può che essere frammentata, e dettata dalla logica disorganica della diffusione generalizzata di mancanza di principi identificativi dei luoghi. Pertanto, il suo carattere si potrebbe stigmatizzare come “globalmente frammentato”.
Analogamente, la corrispondenza tra modelli culturali e modelli di paesaggio (Colantonio Venturelli 2008) tende ad essere, nella contemporaneità, sempre meno univoca e chiaramente definita rispetto al passato, in quanto gli stessi modelli culturali attuali sono di più difficile definizione rispetto a quelli evidenziabili attraverso l’analisi storica tradizionale secondo le categorie della rivoluzione agricola, della cosiddetta rivoluzione industriale, ecc. I modelli culturali attuali ed i paesaggi contemporanei si possono analizzare adottando come quadro di riferimento e di derivazione quello della terza rivoluzione, della cosiddetta informatica, e dello sviluppo della teoria scientifica verificatosi nella seconda metà del secolo scorso, che ha visto lo sviluppo della teoria dei sistemi, dell’olismo, della landscape ecology, ecc. Infatti, si può affermare che in una certa misura i modelli concettuali attuali seguano un paradigma basato da un lato sulla ricerca di un’accettabile sostenibilità complessiva, e dall’altro sul tentativo di sviluppare nuove istanze culturali da contrapporre al puro tecnicismo.
Ma sono molte le riflessioni che si devono fare a questo proposito. Per quanto riguarda la sostenibilità, bisogna dire prima di tutto che è un concetto intuitivamente comprensibile, ma molto difficile da applicare in qualunque campo senza suscitare perplessità. In realtà, esso nasce nel settore di interesse delle scienze forestali, con un significato molto preciso riferito alle potenzialità produttive di legname. L’uso, spesso inappropriato e distorto, del termine crea molta confusione. L’espressione “equilibrio multidimensionale” potrebbe forse indicare più chiaramente il senso dell’obbiettivo da prefiggersi progettando il futuro senza che le azioni intraprese trascurino le conseguenze in ciascuna delle dimensioni investite dalla gestione delle trasformazioni in atto e dai progetti stessi. Dunque, le scelte da operare in qualunque campo dipendono dai modelli culturali che le sottendono, e per questo sono necessari degli orientamenti chiari, basati su conoscenze scientifiche e su motivazioni intellettuali (Parodi, Banse, Schaffer 2010). Come si vedrà al punto 3.4, la tecnologia informatica ha un ruolo importante in questo modello complesso.
2.4 La ricomposizione in pratica
Secondo ciò che è stato trattato nel punto 2.2, i concetti e le pratiche della gestione del paesaggio si sono storicamente riferite a due principali scuole di pensiero, quella che è stata definita come d’impronta umanistica (paesaggio visto come rappresentazione valutabile dal punto di vista estetico - percettivo) e quella delle scienze esatte (paesaggio visto come ambiente fisico-naturale valutabile dal punto di vista strutturale e funzionale). Queste due scuole hanno sviluppato percorsi paralleli, con scarsissime interazioni, almeno sino alla affermazione della Landscape Ecology, a sua volta suddivisa in numerosi filoni, che rappresenta oggi, in un processo tuttora in fieri, il contesto all’interno del quale si sta tentando una ricomposizione del pensiero sul paesaggio.
Quindi, sulla scia di Pedroli (2007) “Gli interventi finalizzati alla gestione del paesaggio dovrebbero essere definiti in modo da soddisfare, da una parte, gli interessi delle persone che vivono al loro interno e, dall’altra, in modo da migliorare il carattere del paesaggio e rafforzare la sua identità”. Perciò, la gestione sostenibile deve perseguire una “sostenibilità multidimensionale”, economica, ecologica e sociale, e “multifunzionale”, nella quale più funzioni devono rispondere sia alle potenzialità fisico-naturali di un territorio sia alle diverse esigenze dei gruppi sociali. Ciò può avvenire utilizzando strumenti innovativi quali i GIS in tutte le loro più recenti versioni e tali da favorire la partecipazione a diversi livelli, da quelli più passivi a quelli più attivi (Selman 2006). Inoltre si devono sviluppare delle forme di indagine/ricerca maggiormente mirate alle esigenze locali ed alla cooperazione con gli attori locali (co-operative research).
3. La progettazione del paesaggio (tecnica e responsabilità)
3.1 La sostenibilità multidimensionale e la compatibilità locale
E’ noto come il concetto di sostenibilità utilizzato nel rapporto della Commissione Brundtland (Brundtland 1987) si ispiri a quello formulato dalle scienze forestali per indicare la capacità di un bosco di riprodursi a seguito del suo taglio in modo da mantenere comunque nel tempo la sua offerta di risorse. L’impiego di questo concetto nel rapporto del 1987 imponeva il superamento del modello culturale fino allora prevalente, che si era basato da un lato sulla protezione rigida e vincolante dei beni di pregio, naturali o culturali che fossero, e dall’altro sulla mancanza di un controllo adeguato su tutti gli altri aspetti del patrimonio collettivo dell’uomo. E’ al nuovo modello, più attento all’uso ed insieme alla tutela di questo patrimonio complessivo, e sicuramente più adeguato alle nuove esigenze gestionali, che si ispirano alcuni documenti europei rivolti all’applicazione da quei principi di sostenibilità espressi nel rapporto Brundtland, tra i quali i più significativi e innovativi sono lo Schema di sviluppo sostenibile europeo (SSSE) (Consiglio informale dei ministri responsabili dell’assetto del territorio1999) e la Convenzione europea del paesaggio (CEP) (Consiglio d’Europa 2000).
Se il principio della sostenibilità multidimensionale e la concezione del paesaggio espressa dalla CEP sono fondamentali per costruire un’ottica generale di riferimento per la gestione complessiva del paesaggio, altrettanto importante è la verifica da effettuare tra tali linee generali e lo stato del territorio su cui si agisce attraverso gli strumenti di intervento amministrativi, e cioè i piani e i progetti. In questo senso, è necessario che si applichi la metodologia di indagine e di intervento che si adatta di più al luogo in cui si prevedono gli interventi stessi; dunque non si può pensare di utilizzare un metodo valido in tutte le occasioni e a tutte le latitudini, ma bisogna far derivare di volta in volta dai principi generali alcune linee di intervento applicative compatibili con la realtà locale (Colantonio, Venturelli 2010).
3.2 Lo Schema di sviluppo sostenibile europeo (SSSE)
Questo documento costituisce una risposta esaustiva a molti problemi della pianificazione dello spazio, suggerendo di sostenerlo nelle sue trasformazioni economiche, ecologiche e sociali. Tali trasformazioni devono agire in modo sistemico ed interrelarsi continuamente tra loro in modo sostenibile: al mutare di una, mutano di conseguenza le altre due.
Come è stato accennato al punto precedente, la sostenibilità multidimensionale dello SSSE può essere raggiunta in un dato paesaggio solo attraverso l’impiego di un metodo di lavoro in grado di comprovare la compatibilità delle linee guida e degli interventi operativi con la realtà economica, ecologica e sociale specifica di quel contesto. Dunque, è necessario dare dei suggerimenti compatibili con la realtà locale per rispondere ad una sfida generale.
3.3 L’impostazione della CEP
Come già accennato, la CEP risponde in modo decisivo ed innovativo all’esigenza di coinvolgimento della popolazione. Secondo la definizione riportata al punto 1.4, è’ la popolazione che in effetti stabilisce il riconoscimento di un paesaggio in quanto tale, poiché la sua percezione introduce nuove scale di valutazione riconoscendolo come l’elemento fondamentale della partecipazione sociale. Il passaggio culturale non viene più considerato attraverso una visione “soggettivistico – rappresentativa”, ma attraverso l’idea di un luogo di vita condiviso, di memoria, di generazioni che vi si susseguono. Dunque, la CEP disegna un percorso complesso di tutela che parte dalla ricognizione dei presupposti operativi, cioè dell’identificazione dei paesaggi, mettendo a fuoco il bisogno di tutela in relazione allo stato di conservazione o di degrado dei paesaggi, per mirare alla salvaguardia e alla gestione sostenibile. Ciò avviene attraverso la predisposizione di azioni pianificatorie rapportate alla “valutazione” del paesaggio, intesa in modo complesso come momento ricognitivo e progettuale di una dinamica di gestione rispettosa dei valori di cui il paesaggio è l’espressione e che sono condivisi dalle popolazioni che vi abitano.
3.4 Responsabilità e economia civile
Per definire verso quali paesaggi indirizzare la progettazioni degli interventi, è necessario integrare i modelli strutturali – funzionali di riferimento, e cioè i pattern e le funzioni, con una forte e chiara consapevolezza di quali siano i “valori” che la popolazione residente attribuisce al proprio paesaggio. La definizione dei valori deve vedere la collaborazione fra gli esperti, detentori delle conoscenze scientifiche, e gli attori locali, detentori dell’identità locale e del sapere comune. Il paesaggio pensato per il futuro riflette il modo in cui una comunità immagina il proprio futuro.
Ogni progetto di paesaggio può essere un’occasione di identificazione sociale; la sostenibilità delle scelte di pianificazione non riguarda solo l’ambiente fisico ma coinvolge anche il paesaggio sociale, riallacciando i legami tra un luogo e i suoi abitanti e realizzando le opportunità per la fruizione sostenibile. Il confronto tra gli esperti e i cittadini contribuisce alla formazione di una percezione completa e condivisa dei luoghi, attraverso immagini e prospettive di intervento per il miglioramento delle relazioni tra i cittadini e l’ambiente.
Ogni ambiente è indissolubilmente legato ai suoi abitanti attraverso una relazione che è umana ma anche geografica e localizzata; pertanto la tecnica e il simbolo, quindi l’ecologia e la percezione, si intrecciano in questa stessa relazione contribuendo ad arricchirla e costituendone la complessità. La spazialità del mondo è tessuta attraverso i diversi fili dei linguaggi che la modellano, seguendo i quali possiamo arrivare ad interpretare il carattere di un luogo, che non si svela mai immediatamente in una visione zenitale in genere troppo distaccata, ma che va indagato nell’immersione nel luogo stesso alla ricerca del genius loci. Da queste considerazioni discende che il paesaggio è qualcosa di profondamente diverso dallo spazio astratto: al contrario esso è estremamente concreto, indissolubilmente legato a ciò che vi si trova, alle persone che lo abitano, ai bisogni, alle esigenze, ai sogni e ai racconti che vi si svolgono, e non è affatto neutro, bensì del tutto relativo; esso è la matrice e l’impronta di significati che vanno oltre la loro semplice localizzazione. In conclusione, l’idea di paesaggio, sviluppata e sostenuta dalla CEP, presuppone l’intenzione di offrire alle popolazioni un quadro di vita che risponda alle loro aspirazioni, migliorandone l’assetto e favorendone la gestione, tenendo in considerazione anche le generazioni future.
La percezione sociale del paesaggio, articolata nelle diverse facce conferitegli dalla pluralità degli attori, ognuno con il suo proprio ruolo, diviene un fattore essenziale nella definizione condivisa di scenari di governo del territorio in cui il paesaggio possa assumere concretamente la centralità, che da più parti gli viene riconosciuta. Questo paesaggio ospita lo spazio dell’individuo e della sua partecipazione all’espressione collettiva, multiforme seppur disomogenea, libera di crescere in una dimensione culturale non più “atomizzata”, ma caratterizzata da efficienza, equità e felicità pubblica (Bruni, Zamagni 2004).
3.5 Il paesaggio urbano nell’era digitale
La cultura della città non può e non deve essere univoca, anzi per definizione deve essere aperta e pronta ad accogliere le esigenze molteplici e sempre nuove della popolazione. La sua forza sta nel fatto che nessuno guida le trasformazioni culturali, ma che tutti possono partecipare liberamente ad esse. In questo senso, gli spazi aperti urbani, quelli pubblici, ma in un certo senso anche quelli privati, giocano un ruolo fondamentale come sede della libera espressione, sia essa individuale o collettiva. I responsabili della gestione amministrativa e della pianificazione della città devono tenerne conto ormai in maniera imprescindibile.
L’era digitale che è sopraggiunta sta dimostrando i lati positivi e quelli negativi di questa fase dello sviluppo urbano. Da un lato, con i suoi mezzi di comunicazione immediata, migliora l’accessibilità all’informazione in tutti i campi e permette di organizzare dei gruppi più o meno numerosi di persone - o addirittura delle reti - in tempo reale per diversi scopi: dalla manifestazione di consenso o di dissenso, al ritrovo per il tempo libero sportivo o culturale, allo scambio di opinioni. I sociologi parlano in questo senso della costruzione del “noi”, mentre dall’altro lato, parlano di una falsa costruzione dell’”io”. Infatti, l’era digitale può spingere alla perdita della dimensione reale, dando l’illusione di poter superare qualsiasi limite spaziale e temporale, di potersi considerare padroni - e non semplici utenti- dei beni pubblici, con il pericolo di trasformare una corretta partecipazione in un continuo contrasto esasperato, in litigiosità o addirittura in scontro sociale (Colantonio 2014).
3.6 Le dinamiche delle trasformazioni del paesaggio in Europa
Il volto di gran parte dell’attuale paesaggio europeo è il risultato di un fenomeno che si è propagato in tempi e modi diversi nei vari Paesi, ma che ha prodotto un risultato molto simile ovunque. A questo proposito, si possono citare numerosi studi, tra i quali quello del geografo Pierre Donadieu sulle “campagne urbane” in Francia (Donadieu 1998), quello sulle previsioni dello sviluppo territoriale in Svizzera del sociologo Schmidt (2005), quello del geografo Marc Antrop sulle trasformazioni territoriali studiate attraverso l’applicazione dei sistemi geografici informatici più avanzati (Uuemaa et al. 2009).
E’ indubbio che gli spazi urbani e peri-urbani si sono disciolti in quelli rurali, e ne hanno trasformato il carattere fisico e l’identità stessa degli abitanti, al punto che in molti casi è diventato ormai sempre più difficile non solo distinguere fisicamente un tipo di spazio dall’altro, ma anche definire scientificamente che cos’è rurale e che cos’è urbano, e quindi se ha senso continuare a parlare di queste categorie senza definirle diversamente alla luce di nuovi significati. Questo spinge a lavorare insieme per trovare delle risposte architettoniche, urbanistiche, paesaggistiche, sociali, economiche. In questa continua trasformazione del territorio, i paesaggi di valore storico e culturale hanno un ruolo di estrema importanza: infatti, se da un lato rischiano di essere coinvolti negli aspetti più negativi di questa dinamica, dall’altro possono rappresentare dei punti di riferimento fondamentali non soltanto sotto l’aspetto percettivo e dell’identità locale, ma anche, a scala più ampia, per le aree urbane contigue.
3.7 Lo sviluppo locale: il paesaggio contemporaneo italiano e il caso della regione delle Marche
Il paesaggio post-industriale marchigiano rappresenta, per la sua storia, un caso di studio molto particolare dove le dinamiche odierne di trasformazione si innestano su una realtà che non ha ancora perso del tutto le sue radici, com’è avvenuto invece nelle metropoli settentrionali. Il carattere attuale del paesaggio marchigiano risulta essere ancora oggi radicato in una “ruralità contemporanea” che ha profonde radici storiche nella ruralità “classica” del “sistema mezzadrile”, presente nelle Marche per quasi cinque secoli. Questa ruralità contemporanea è certamente meno definita e monolitica di quella tradizionale, soprattutto nei contesti peri-urbani dei centri principali, nella fascia costiera e collinare retrostante, nelle pianure alluvionali delle valli di maggiore ampiezza. Tuttavia la ruralità permea ancora profondamente il tessuto socio-culturale della regione, come probabile conseguenza del fatto che le Marche sono state escluse dal processo di sviluppo della megalopoli mediterranea (Colantonio, Galli 2003) ed hanno vissuto un processo di industrializzazione diffusa, che ne ha limitato le fratture sociali e territoriali (Fuà 1984).
3.8 Le tecnologie informatiche a supporto dello sviluppo locale: considerazioni generali
Le tecnologie informatiche più avanzate di cui oggi si dispone possono aiutare ad affrontare questa specificità del paesaggio marchigiano in modo integrato, contribuendo a definire processi decisionali che tengano conto della sua particolare complessità. Ne è un esempio l’impiego di tecnologie Web GIS 2.0 per la partecipazione della collettività alla tutela e alla pianificazione del paesaggio.
Il panorama delle tecnologie utilizzate dall’Internet Mapping è cambiato drasticamente e velocemente in questi ultimi anni, da un ambito statico ad uno dinamico, da utenti spettatori ad attori che possono interagire con lo scenario in atto. La natura dei cambiamenti, le loro potenzialità e le implicazioni non solo per gli addetti ai lavori ma soprattutto per tutta la comunità sono di gran lunga importanti. Nuovi concetti, tecnologie e strutture devono essere comprensibili per poter essere messi a disposizione di un pubblico che può e vuole partecipare attivamente alla costruzione della nuova era della cartografia, e cioè del cosiddetto GEOWeb.
Il GIS partecipativo è il modo semplice e veloce per l’aggiornamento continuo dei dati, per la segnalazione delle emergenze, per la pubblica partecipazione nella gestione dei piani, per la condivisione delle strategie. L’ampliamento dell’accesso ai dati geospaziali oltre i confini degli specialisti grazie al GIS 2.0 può rendere i processi di decision making più efficienti ed efficaci. I GIS si spostano così da un ambito informatico ad un ambito più gestionale. Le relazioni dinamiche fra la ricerca scientifica, le implementazioni tecnologiche e la vita culturale sono una buona base da cui partire per comprendere queste nuove dinamiche rivolte alla gestione del territorio-paesaggio. Le scienze e la tecnologia giocano un ruolo assai importante nella moderna società e i loro effetti sono sempre più evidenti e profondi. Per questo è importante fornire ai giovani gli strumenti adeguati per affrontare questi nuovi sviluppi.
Lo strumento GIS ormai di uso comune per archiviare e organizzare le informazioni georeferenziate, e per rispondere alle innumerevoli richieste di gestione del territorio, si apre al pubblico grazie al Web. Ora, nell’epoca del Web 2.0, dei social networks, dello scambio attivo e condiviso delle informazioni il GIS diventa uno strumento collettivo, a disposizione della comunità e nel contempo mantenuto aggiornato dalla comunità stessa. Il GIS 2.0 è lo strumento partecipativo per l’informazione geografica. La gestione del paesaggio sarà interpretata sempre più spesso come il modo in cui una comunità immagina il proprio futuro. A esempio, una sperimentazione in questo senso è in corso ormai da diversi anni presso l’Università politecnica delle Marche, dove un gruppo di ricerca e di didattica integrata svolge la sua attività. L’esempio che si riporta di seguito è appunto uno di questi casi di studio (Virgili, a.a. 2008/2009).
3.9 Le tecnologie informatiche a supporto dello sviluppo locale: un esempio applicativo di GIS di tipo partecipativo
Uno strumento innovativo di GIS partecipativo per favorire il dialogo tra pubblico e privato nell’ambito della pianificazione ecosostenibile delle aree produttive a tutela dell’ambiente è il “Programma 3P” (Produzione – Paesaggio – Partecipazione). Questo strumento supporta la gestione del paesaggio, e in particolare delle attività produttive industriali presenti in esso, agevolando l’interfaccia tra il sistema paesaggio e il sistema impresa che, seppure nelle loro caratteristiche di sistemi dinamici, non sono in grado di rapportarsi. Si propone così di rendere trasparente ed efficace il rapporto tra l’impresa e gli enti preposti alla gestione del territorio, definiti entrambi come protagonisti delle dinamiche costitutive del paesaggio. È in sintesi uno strumento innovativo di gestione e coordinamento del paesaggio rivolto nel particolare alle aree produttive.
Tale strumento, in linea con le aspettative europee, espresse dalla e dallo SSSP, è stato applicato come caso di studio di una ad una realtà marchigiana che emerge in tutte le sue problematiche soprattutto per essere parte dell’Area ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale (AERCA), ma altrettanto ricca di opportunità: la Bassa Vallesina in Provincia di Ancona (Regione Marche, Italia). Questa è stato un’opportunità per sviluppare e sperimentare uno strumento GIS che cerca di rispondere a tutte le problematiche riscontrate per le aree produttive industriali ma nulla vieta che possa essere implementato anche per altre zone o realtà territoriali, o addirittura che possa essere aggregato a strumenti diversi per il governo delle varie componenti del paesaggio.
Tenuti fissi gli obiettivi generali di sostenibilità multidimensionale, è il territorio stesso che richiede di stabilire obiettivi e contenuti specifici, a partire dalla conoscenza delle condizioni del luogo per il quale questa applicazione è ideata. Dunque, è stata necessaria la scelta di una metodologia che, a partire dall’approfondimento delle componenti del luogo prescelto per l’uso del “Programma 3P”, potesse sostenere di volta in volta una scelta progettuale da verificare, nel controllo degli effetti delle scelte di pianificazione sui sistemi analizzati.
Attualmente il “Programma 3P” struttura un database in ambiente GIS che sia a sua volta interrogabile in maniera dinamica e che consenta l’esplorazione interattiva delle mappe. È pensato come una serie di mappe tematiche GIS di scala regionale e locale, applicato alla gestione delle aree industriali e delle imprese ivi insediate. Grazie alle potenzialità di questo software, le aree e le imprese che sono organizzate nel modello concettuale del database e sono archiviate con il loro riferimento geocartografico, possono essere classificate rispettivamente secondo classi di potenzialità e classi di sostenibilità con l’ausilio di indici appositamente scelti, calcolati dal programma e rappresentabili su grafici radar. Un metodo così strutturato ha richiesto competenze pluridisciplinari e il coinvolgimento di ricercatori, amministratori di vari enti pubblici, dirigenti di associazioni di categoria, imprenditori e cittadini. Tutti questi protagonisti hanno apportato un contributo essenziale nella realizzazione di questo strumento permettendo che il “Programma 3P” rispecchiasse il territorio in tutte le sue forme. Pertanto, il “Programma 3P” si presenta come uno strumento GIS innovativo per la gestione integrata del paesaggio, a favore della partecipazione democratica che promuove l’impresa come collaboratrice della costruzione del paesaggio stesso e della costruzione di un rapporto più proficuo tra pubblico e privato.
4. Un modello particolare di paesaggio: i siti UNESCO
Nel quadro variegato delle tipologie che contribuiscono a fare del paesaggio attuale un sistema molto complesso, si colloca il caso dei paesaggi che, per le loro evidenti peculiarità, sono stati riconosciuti come patrimonio dell’umanità. L’UNESCO ha individuato fino ad oggi complessivamente 981 beni, dei quali 759 appartengono alla categoria dei beni culturali. Questi siti non presentano sempre particolarità estetiche, ma spesso sono anche espressione dell’identità delle popolazioni che vi abitano. E` d’obbligo qui un richiamo al principio analogo della CEP.
Per questi suoi aspetti, il riconoscimento di un bene appartenente al patrimonio culturale dell’umanità da parte dell’UNESCO rappresenta una spinta morale alla tutela ed indica un’etica comportamentale, ma non sottintende alcun vincolo legislativo. Dunque, in molti casi un sito di grande valore intrinseco – culturale, storico, scientifico, di identità locale - rimane soffocato dal territorio che lo circonda, con la sua mancanza di qualità architettonica e ambientale, dal suo disordine urbanistico, da tutte le sue caratteristiche di “paesaggio del profitto”.
Infatti, poiché il territorio rappresenta quel collettore di interessi di ogni genere e livello di cui si accennava in precedenza, il problema centrale di numerosi siti è proprio legato paradossalmente al loro valore intrinseco: da un lato essi vengono riconosciuti come unici, dall’altro la loro tutela giuridica non è garantita. Questo comporta che a volte il riconoscimento UNESCO viene interpretato in qualche modo come una limitazione alla “produttività”, per così dire, del bene stesso, intesa come suo sfruttamento finanziario. E allora il suo contesto non può che essere fatto fruttare al massimo per controbilanciare la presenza di un oggetto scomodo da possedere.
Allora il problema di fondo riguarda la necessità di far valere un oggetto appartenente al patrimonio culturale mondiale in un modo che non lo danneggi, ma che comunque lo renda “finanziariamente autosufficiente”, liberando così il contesto territoriale dal malinteso senso di produttività compensativa. Solo così è possibile dare al sito di valore mondiale la capacità di “vivere” in rapporto e in dialogo con il suo contesto, sotto tutti gli aspetti, da quello finanziario a quello dell’identità locale, a quello dell’impressione del visitatore. Queste due esigenze, e cioè quella del valore finanziario intrinseco e quella del rapporto con l’ambiente esterno, sono presenti nei quesiti su cui si basano i due casi di studio illustrati di seguito: il caso del sito UNESCO del palazzo ducale di Urbino, in Italia, collocato in un contesto urbano che si accresce continuamente, e quello del sito del parco di Dessau-Wörlitz, in Germania, situato in un ampio territorio agricolo produttivo.
La scelta dei due esempi è stata dettata dall’esigenza di riflettere sulla genesi culturale di un sito UNESCO come principio ispiratore della sua gestione attuale. Infatti, in entrambi i casi i progetti nascono, a distanza di circa tre secoli l’uno dall’altro, dalla volontà di rappresentare la concezione culturale del “signore” che promuove il progetto stesso. Nel caso del palazzo di Urbino si tratta della fede profonda del duca Federico da Montefeltro nella conoscenza umanistica che mette le sue radici nell’epoca quattrocentesca, mentre nel caso di Dessau-Wörlitz è il principe elettore Leopoldo III di Anhalt-Dessau nella seconda metà del 1700 a proiettare nel progetto di parco, con il relativo castello, il principio ispiratore dell’Arcadia, che prende forma in numerose opere. Tra queste, alcune richiamano esplicitamente alcuni luoghi italiani.
4.1 Il paesaggio del sito UNESCO di Urbino
Al centro di un vasto territorio comunale, sorge in posizione elevata il centro storico di Urbino. Il paesaggio è quello tipico dei centri storici italiani dell’Appennino centrale. La Toscana, le Marche, l’Umbria sono le regioni più ricche di questa tipologia insediativa di origine medievale. Per la sua difficile accessibilità, ma anche per un’antica tradizione culturale, pur essendo situata nel versante appenninico che si affaccia sul mare Adriatico, nella sua storia Urbino ha avuto sempre maggiori contatti con Roma attraverso la via Flaminia, di quanti non li abbia avuti con le città della costa adriatica, anche se quest’ultima in linea d’aria risulta più vicina. Ne è un esempio emblematico la vita e la formazione di Raffaello Sanzio, nativo appunto di Urbino. Gli studi più recenti di geopolitica sono particolarmente utili per la ricostruzione di questi aspetti del territorio e della sua cultura (Mangani 2012).
Dalla finestra dello “studiolo” del palazzo progettato da Luciano Laurana si scorge ancora la vista che è praticamente la stessa di cui godeva Federico di Montefeltro, osservando il territorio dominato dalla costruzione che rappresentava il potere militare accanto a quello esercitato attraverso la sua grande cultura umanistica. Bilanciata tra queste due radici, la figura di Federico sembra ancora essere fisicamente presente nell’ambiente storico urbinate, conservato in modo estremamente fedele alle origini. Lo specifico modulo didattico di questa serie, redatto da Anna Ossani, riflette approfonditamente sulla figura del duca e sulle tracce profonde lasciate dal suo operato nel territorio e nel paesaggio del ducato, riconosciuto appunto dall’UNESCO come uno dei siti appartenenti al patrimonio culturale dell’umanità. Ed è grazie anche a questo “distintivo”, per così dire, che l’economia della città ruota intorno all’attività turistica, che rappresenta una delle due fonti principali della sua economia. L’altra è quella legata alla presenza della sede universitaria, una delle più antiche tra quelle italiane.
Ma se la prospettiva visiva della finestra dello studiolo ruota di alcune decine di gradi, cambia anche il punto di osservazione e traspare il prodotto di un altro modello, molto più recente, e cioè quello della frammentazione culturale, che ha generato un paesaggio, appunto, frammentato, come si accennava al punto 2.3. Infatti, poco oltre il paesaggio urbano tipico quattrocentesco, molto ben integrato il paesaggio agrario circostante, in alcuni scorci simile a quello dell’epoca rinascimentale, in realtà il resto del vasto territorio comunale è stato profondamente sconvolto dalle esigenze della crescita edilizia periferica.
Il terreno è ondulato, solcato dalle valli dei fiumi che scorrono verso la costa adriatica, con poche pianure occupate spesso da zone destinate alla produzione industriale, al commercio e a nuove abitazioni. La discontinuità degli insediamenti è molto evidente: intorno al centro storico si sono sviluppate la antiche frazioni rurali, che sono diventate dei quartieri privi di qualità edilizia, e a volte anche di servizi essenziali. Del resto, l’antico territorio agricolo in gran parte oggi non è più coltivato, ha perso la sua funzione originale ed ha ceduto il posto al disordine edilizio oppure, al contrario, alla rinaturalizzazione spontanea.
L'abbandono dei centri storici a favore di soluzioni abitative nei circostanti territori rurali è imputabile a diversi fattori di origine economica, politica, sociale. Fino a pochi anni fa, i costi sempre maggiori delle parti centrali della città, che specialmente dopo operazioni di restauro urbano, erano divenute pregiate ed appetibili dal punto di vista commerciale, hanno determinato l'espulsione dei ceti a basso reddito che, quindi, sono affluiti in periferia. Più recentemente, l'aspirazione ad un'abitazione singola in campagna induce anche le classi sociali più abbienti ad insediarsi fuori città. Dunque, il patrimonio edilizio del centro storico viene affittato a chi cerca alloggi a basso costo e non hanno esigenze riguardo allo stato di manutenzione degli edifici, inducendo i proprietari, spesso nuovi proprietari di ville situate nel territorio circostante, a disinteressarsene.
Inoltre, alla dispersione insediativa concorre una mobilità che è sempre più individuale ed diffusa sul territorio. Infine, bisogna notare come anche la frammentazione amministrativa e la deregolamentazione urbanistica creino le condizioni favorevoli allo sviluppo di tale fenomeno. Numerosi sono i danni arrecati da questo nuovo modello insediativo: l'enorme e progressivo consumo di suolo e la conseguente perdita di suolo agricolo, la ridotta funzionalità di reti e servizi il cui potenziamento ha un alto costo collettivo, un sensibile allungamento dei tempi di trasporto.
Dunque, tornando alle riflessioni esposte in precedenza, si può affermare che quello di Urbino può essere considerato un caso emblematico per diversi motivi, tra i quali:
- è indispensabile sviluppare l’interrelazione tra le diverse componenti del sistema del paesaggio:
- il caso specifico è estendibile alla situazione di numerose località europee, in cui ad un rilevante patrimonio storico si unisce un paesaggio di elevato valore estetico e di grandi valenze legate al sentimento dell’identità dei luoghi:
- il sito UNESCO è circondato da un paesaggio in parte compromesso e in parte esposto al rischio di ulteriori danneggiamenti:
- l’economia locale non tiene conto in ogni progetto di sviluppo del valore del patrimonio culturale che le offre dei buoni ritorni solo se viene collocato al centro delle esigenze del territorio.
4.2 Il paesaggio del sito UNESCO di Dessau-Wörlitz
Il regno-giardino di Dessau-Wörlitz è situato nell’attuale Bundesland tedesco dello Sachsen-Anhalt. Adagiato in uno strategico punto di confluenza fra un ramo del fiume Elba e la Mulde, dal 2000 è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità. Diversi elementi rendono questo parco un esemplare modello di studio, in quando punto di intersezione, spesso armonica, fra strutture naturali e culturali. Un’eccellente pubblicazione di Hansjörg Küster e Ansgar Hoppe mette particolarmente in luce l’intreccio - o per meglio dire il ricamo - delle azioni umane e naturali sviluppate in questi luoghi in epoche diverse, mostrandone le tracce ancora percepibili e ricostruendo le influenze ricevute e poi esercitate a propria volta nei confronti di altri contesti geografico-culturali (Küster, Hoppe 2012).
Le inondazioni ripetute del fiume Elba, che hanno portato ingenti danni fino ai tempi a noi più recenti, resero però sin dall’antichità la terra particolarmente fertile, favorendo così l’agricoltura, oltre al trasporto fluviale. La confluenza del ramo dell’Elba con il fiume Mulde, non navigabile ma particolarmente adatto per lo sfruttamento dell’acqua corrente grazie a mulini prima, ed ad energia elettrica poi, ha reso quindi la città di Dessau e i suoi dintorni un importante centro industriale e commerciale sin dal medioevo.
Sul principio dell’età moderna lo sfruttamento agricolo del paesaggio venne varie volte riorganizzato, seguendo criteri politici, estetici, ma anche in seguito ai diversi sviluppi e scoperte tecnologiche. Così, grazie ad un matrimonio fra il principe Johannes Georg II. von Anhalt-Dessau e la principessa olandese Henriette Catharina van Oranje, vennero chiamati diversi ingegneri, architetti, artisti, giardinieri olandesi, i quali crearono canali, costruirono ponti, importarono diversi tipi di piante, fiori e tecniche di coltivazioni direttamente dalla loro terra. Il toponimo di Oranienbaum, la cittadina nei pressi della quale venne costruito un castello ed un parco, attesta l’influenza olandese di questo periodo storico. Fu però sotto la reggenza di Leopold I (1676-1747) e di suo nipote Leopold III Friedrich-Franz (1740-1817) che avvenne la trasformazione forse più importante nel carattere del paesaggio di questa regione.
In particolare, Leopold III comissionò all’architetto Friedrich Wilhelm von Erdmannsdorff la costruzione del castello di Wörlitz e dei parchi annessi. Questi lavori ricoprirono un’importanza fondamentale nell’architettura tedesca, in quanto primi esempi di neoclassico in Germania. In particolare, il principio ispiratore dell’opera, richiesto dal principe Leopold Franz, voleva che “il bello e l’utile si unissero l’un l’altro” (Küster, Hoppe 2010). Al posto dell’ispirazione olandese e francese, qui vennero presi modelli italiani, ed in particolare di Palladio, ed inglesi. Il parco di Wörlitz viene allora costruito come una Gesamtkunstwerk, in cui i confini delle proprietà venivano nascosti ed armonizzati, così da fondere quasi letteralmente il paesaggio originario modellato dall’attività agricola col giardino delle proprietà principesche. Ponti, canali e punti di osservazione vennero studiati e uniti in modo armonico, vennero costruiti labirinti sui modelli classici, ma inserendo simbologie che rimandavano a studi ed aspetti della cultura tedesca. Invece di cipressi e pini, vennero scelte piante autoctone, che potessero resistere al freddo, ma tagliate in modo da ricordare i tipici alberi mediterranei.
Intorno al 1860 la regione della Anhalt divenne poi un centro industriale importante, sotto l’influenza della Prussia. E nonostante i diversi lavori di costruzione, volti all’efficienza del lavoro industriale e delle vie commerciali, si cercò di armonizzare il più possibile le necessità dell’utile, appunto, con la preziosa eredità culturale e naturale lasciata nei secoli precedenti. A questa eredità artistico-culturale, nel 1925 se ne aggiunse un’altra di importanza capitale: Walter Gropius venne chiamato da Weimar a Dessau per dirigere la scuola superiore delle arti creative del Bauhaus. Così, oltre all’edificio scolastico, fortunatamente non distrutto dai bombardamenti, sono pervenute fino ad oggi anche alcune delle abitazioni costruite per Gropius ed altri insegnanti di questo movimento artistico. Anche questi edifici sono stati proclamati patrimonio mondiale dell’umanità già nel 1996. Nonostante ciò – e forse proprio per questo - sono necessari lavori di mantenimento, restauro e vitalizzazione di diverse aree di Dessau e dei suoi giardini. In particolare, molti edifici di Dessau, ma anche del complesso dei giardini, sono stati in parte danneggiati dalle bombe, o utilizzati per altri scopi durante il periodo della DDR.
Grazie al patrocinio dell’Unesco, l’affluenza dei visitatori, degli studiosi e dei turisti nella zona è incrementata. Ma è importante che Dessau non resti un museo, bensì mantenga quell’unione produttiva e fiorente dell’utile e del bello che l’ha resa così caratteristica. Per questo (sempre seguendo lo studio di Küster-Hoppe, fonte preziosa per questo paragrafo) va creato un piano di preservazione, ma anche di sviluppo della zona, legato al passato, vissuto nel presente e volto alle innovazioni al futuro. In particolare, gli autori del libro sopra citato suggeriscono diversi interventi, da coordinare e sviluppare:
- seguire le indicazioni ed i bisogni degli abitanti di Dessau e delle zone annesse; ciò che però qui conta, è renderli partecipi e coscienti anche della storia del paesaggio che li circonda;
- unire gli studi e gli esperimenti contemporanei sull’eco-sostenibilità alle esigenze del parco-giardino. In particolare, far sì che l’armonia del paesaggio agricolo e dei giardini principeschi, tanto cercata da Leopold III, possa venire ristabilita anche oggi, nonostante le diverse tecniche di coltivazione;
- incentivare il turismo, e puntare anche all’eco-turismo: facilitando le visite guidate, magari anche in bicicletta, da esperti cutlurali, da architetti, ma anche da biologi;
- incentivare gli studi urbanistici e paesaggistici: per restituire i piani originari di edifici e parchi in parte distrutti dalle guerre mondiali, ma anche per accompagnarli seguendo le esigenze dell’organizzazione tecnico-industriale della città odierna;
- Gli aspetti di tutela della natura, del paesaggio e del patrimonio culturale non vanno trattati separatamente, ma in modo parallelo e coordinato; senza mai dimenticare le esigenze della popolazione residente.
4.3 Lineamenti metodologici per una didattica avanzata di gestione dei siti UNESCO
Gli obbiettivi didattici sono essenzialmente tre:
1 – affinare e sperimentare concretamente su un caso di studio la metodologia di ricerca multidisciplinare e di trasmissione dei suoi risultati attraverso un workshop di didattica avanzata;
2 – secondo l’articolo 53.a della CEP, promuovere un’occasione d’incontro tra docenti e studenti – laureandi e dottorandi - per sviluppare insieme un’esperienza di lavoro comune utile da una parte ai docenti per la verifica del proprio metodo di insegnamento sia individuale, sia coordinato, e dall’altra agli studenti per l’organizzazione della propria tesi di laurea o di dottorato;
3 – porre le basi per ulteriori sviluppi di ricerca e di didattica avanzata.
I quesiti fondamentali a cui rispondere sono:
1– quale rapporto ha il sito UNESCO con il territorio e con il paesaggio circostante secondo i parametri ecologici, economici, culturali e sociali?
2– il sito ha un’”autonomia economica” che gli permette di non gravare da questo punto di vista sulla situazione complessiva del contesto territoriale che lo ospita?
Le fasi della metodologia operativa:
- Studio individuale del materiale scelto reso disponibile su un blog
- Presentazione di casi di studio già svolti da parte di diverse discipline e di amministratori locali
- discussione del quadro emerso con gli studenti per impostare linee propositive di gestione attiva e tutela del sito sotto il profilo economico, culturale, ecologico e sociale
- compilazione di un documento collettivo finale da sottoporre agli esperti e agli amministratori che hanno partecipato alle fasi precedenti e sua diffusione attraverso il blog utilizzato, in continuo aggiornamento.
5. Alcune considerazioni conclusive
L’approfondimento degli esempi dei siti UNESCO ha permesso di ricollegare la particolarità dei casi di studio alla visione più generale esposta nei primi punti di questo testo. Infatti, pur nella loro diversità, entrambi rispecchiano le tracce delle trasformazioni più recenti del paesaggio europeo e i suoi legami con la cultura europea contemporanea.
Per entrambi i casi vale l’ottica metodologica che suggerisce di basare i possibili interventi sui criteri generali suggeriti dalla CEP, ma con una particolare attenzione alle peculiarità dei singoli luoghi, alle quali deve adeguarsi ogni azione di trasformazione. Così, se da una parte la conformazione fisica del territorio conserva un valore essenziale nelle scelte gestionali, altrettanto importante in questo senso è il ruolo che la cultura delle popolazioni di quel territorio ha svolto nelle trasformazioni che vi si sono susseguite nel tempo. E il senso più attuale di questo rapporto tra popolazioni e luoghi di vita è quello della partecipazione alle scelte gestionali.
La partecipazione deve essere completa e ispirata dalla fiducia nelle istituzioni competenti, ma anche filtrata dalle competenze scientifiche e progettuali degli esperti, che devono assicurare la continuità dello sviluppo del paesaggio in sintonia con le esigenze di trasformazione sia di quella società in particolare, sia della società complessiva che vive e cambia i suoi connotati economici e culturali sempre più velocemente. E` il corretto rapporto tra i valori locali e quelli universali che assicura la compatibilità delle scelte di grande portata con i progetti specifici.
In prospettiva, questi principi generali dovranno trovare molte occasioni di discussione e di verifica nelle applicazioni ai singoli casi di studio dei paesaggi di grande pregio, che rappresentano il tema principale di questo testo. Ma c’è un passo ulteriore da compiere, che si intravvede nella fase successiva, ed è quello di studiare con gli stessi presupposti concettuali e operativi anche i paesaggi che non sono dichiarati di pregio, e che non sono protetti. Essi sono in realtà i più fragili, i più esposti a pericoli di errori irreparabili.
La cura di questo testo è di Rita Colantonio Venturelli.
Alla sua stesura hanno partecipato diversi esperti che hanno lavorato in molte occasioni a stretto contatto fra loro, alcuni collaborando a lungo e sistematicamente, altri occasionalmente. E’ stato un esperimento di costruzione scientifica che riflette la consuetudine ad una visione prospettica multidisciplinare profondamente condivisa dal gruppo di lavoro. Un ringraziamento particolare va a tutti per la dedizione e la competenza che hanno dimostrato nel seguire la costruzione del testo, per quanto lunga sia stata:
Andrea Galli
Ernesto Marcheggiani
Silvia Mazzini
Giovanna Paci
Grazia Sabbatini
BIBLIOGRAFIA CITATA
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